Gli investimenti nel settore alberghiero in Italia stanno suscitando un rinnovato interesse, dando vita ad un trend che sprona a riflettere anche sulla gestione della struttura, o meglio sulla scelta della forma giuridica più adatta a disciplinarla e ad assicurare i maggiori vantaggi per il proprietario.
La spinta agli investimenti nel nostro Paese arriva in particolare dai grandi gruppi alberghieri internazionali, motivati a colmare una nicchia presente nella penisola: il settore dell’hospitality in Italia è infatti caratterizzato da un’offerta frammentata, con strutture di dimensioni ridotte e una gestione prettamente familiare.
L’interesse da parte di investitori stranieri implica anche nuove valutazioni in merito alle modalità di gestione, in quanto le scelte effettuate fuori dai confini nazionali si sono già da tempo orientate verso il contratto di management, a differenza di quanto è accaduto fino ad ora da noi. Nel nostro paese, dove l’approccio è stato per lungo tempo prettamente immobiliaristico, quindi volto all’acquisto dell’immobile e non tanto dell’azienda alberghiera, la tendenza principale era, e in molti casi è tutt’ora, verso il contratto di locazione. L’investitore non si assume i rischi della gestione, affidata a terzi, e si assicura un rendimento più o meno costante.
Come anticipato, gli investitori stranieri invece optano per un contratto di management in cui partecipano maggiormente del risultato della gestione alberghiera, aumentando la produttività ma anche i rischi. Immobile e azienda infatti rimangono nella disponibilità del proprietario, così come il risultato economico, e il manager si occupa della direzione dell’hotel, venendo ricompensato con management fees basate sul fatturato e sul Gross Operating Profit. Questa nuova formula sta tuttavia iniziando a prendere piede anche in Italia e vale la pena confrontare le caratteristiche delle due forme contrattuali con l’aiuto delle seguenti tabelle.